Il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea ha presentato i Rapporti 2018 sul Profilo e sulla Condizione occupazionale (XX edizione) in occasione del Convegno “Mutamenti strutturali, laureati e posti di lavoro”. Le Indagini hanno coinvolto i laureati di 74 università aderenti al Consorzio*. Il Rapporto di AlmaLaurea sul Profilo dei laureati ha analizzato le performance formative di oltre 276 mila laureati nel 2017: in particolare, 157 mila laureati di primo livello, 81 mila laureati magistrali biennali e 36 mila laureati magistrali a ciclo unico.
Il Rapporto di AlmaLaurea sulla Condizione occupazionale ha analizzato oltre 630 mila laureati di primo e secondo livello degli anni 2016, 2014 e 2012 contattati, rispettivamente, a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo.
IMMATRICOLATI: DATI DI CONTESTO Secondo la documentazione di fonte MIUR, dall’anno accademico 2014/15 si è osservata una ripresa delle immatricolazioni confermata nel 2015/16 e divenuta ancora più consistente nel 2016/17 (+7,7% rispetto al 2013/14). Nonostante ciò, dal 2003/04 al 2016/17 le nostre università hanno perso quasi 50 mila matricole, registrando una contrazione del 14,1%. Il calo delle immatricolazioni risulta più accentuato nelle aree meridionali (-24,9%), tra i diplomati tecnici e professionali e tra coloro che provengono dai contesti familiari meno favoriti, con evidenti rischi di polarizzazione.
IL PROFILO DEI LAUREATI – RAPPORTO 2018 I laureati nel 2017 coinvolti nel Rapporto 2018 sul Profilo dei laureati sono oltre 276 mila. Si tratta di 157 mila laureati di primo livello (57,0%), 81 mila magistrali biennali (29,1%) e 36 mila magistrali a ciclo unico (13,1%); i restanti sono laureati pre-riforma (compresi quelli di Scienze della Formazione primaria).
MOBILITA’ PER MOTIVI DI STUDIO Nel 2017 Quasi la metà del complesso dei laureati (46,2%) ha conseguito il titolo nella stessa provincia in cui ha ottenuto il diploma di scuola secondaria di secondo grado. Il 25,5% dei laureati ha sperimentato una mobilità limitata, conseguendo il titolo in una provincia limitrofa a quella di conseguimento del diploma. Il 12,5% ha sperimentato una mobilità di medio raggio, laureandosi in una provincia non limitrofa, ma rimanendo all’interno della stessa ripartizione geografica (ovvero Nord-Centro-Sud), mentre un altro 12,5% ha conseguito il titolo di laurea in una ripartizione geografica differente da quella in cui ha conseguito il diploma. Infine, il 3,1% ha completato il percorso universitario in un Ateneo italiano, ma è in possesso di un diploma conseguito all’estero.
I laureati magistrali biennali sono i più propensi alla mobilità geografica per motivi di studio: il 36,1% ha conseguito il titolo in una provincia diversa e non limitrofa a quella di conseguimento del diploma di scuola secondaria (contro il 24,7% dei laureati di primo livello e il 26,1% di quelli a ciclo unico). Le migrazioni per ragioni di studio sono quasi sempre dal Mezzogiorno al Centro-Nord.
La quasi totalità dei laureati che hanno ottenuto il titolo di scuola secondaria di secondo grado al Nord sceglie un ateneo della medesima ripartizione geografica (97,4%). I laureati del Centro rimangono nella medesima ripartizione geografica nell’89,1% dei casi, ma quando scelgono di migrare optano prevalentemente per atenei del Nord (8,1%). È per i giovani del Sud e delle Isole che il fenomeno migratorio assume, invece, proporzioni considerevoli: il 23,9% decide di conseguire la laurea in atenei del Centro e del Nord, ripartendosi equamente tra le due destinazioni. Un altro aspetto interessante riguarda i laureati provenienti dall’estero: oltre il 90% sceglie un ateneo del Centro-Nord.
A spostarsi sono più frequentemente i ragazzi che hanno un background socio-culturale più elevato: il 36,1% di chi ha compiuto migrazioni di lungo raggio ha almeno un genitore laureato, contro il 28,3% di chi è rimasto nella medesima ripartizione geografica. Analoghe tendenze si rilevano analizzando il percorso scolastico precedente: chi ha cambiato ripartizione geografica per motivi di studio (o ha conseguito il diploma all’estero) aveva ottenuto un voto medio di diploma 83,0/100 contro 80,8/100 di chi è rimasto nella medesima ripartizione geografica.
STABILE LA QUOTA DEGLI STRANIERI (3,5%) La quota di laureati di cittadinanza estera è del 3,5% (corrispondente a 9.532 laureati negli Atenei AlmaLaurea nel 2017; sono esclusi i laureati della Repubblica di San Marino), con una punta del 4,6% nei corsi magistrali biennali e con valori attorno al 3% tra i laureati di primo livello (3,1%) e fra i magistrali a ciclo unico (2,5%). La quota è stabile rispetto alla rilevazione del 2016. E’ opportuno ricordare che negli ultimi 10 anni è aumentata la quota di laureati di cittadinanza estera (erano il 2,6% nel 2007).
La maggior parte dei laureati stranieri (57,1%) è arrivata in Italia dopo il diploma di scuola secondaria superiore. E’ crescente però la quota di giovani stranieri che provengono da famiglie già residenti in Italia, come testimonia il fatto che il 42,9% dei laureati di cittadinanza non italiana ha conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado nel nostro Paese: tale quota era il 28,2% nel 2011. Per quanto riguarda la provenienza, il 52,1% dei laureati esteri proviene dall’Europa, in particolare il 12,9% è cittadino albanese e l’11,2% rumeno.
Il 24,3% proviene dall’Asia e dall’Oceania; più nel dettaglio, il 9,2% dalla Cina (quota che è cresciuta notevolmente negli ultimi anni: era il 2,9% nel 2009) e il 3,3% dall’Iran. Il 14,3% proviene dal continente africano (specie dal Camerun, 4,4% e dai Paesi del Maghreb, 3,8%) e un 9,4% dalle Americhe (in particolare dal Perù, 1,8%). I flussi di stranieri si indirizzano soprattutto verso specifici ambiti disciplinari: linguistico, architettura, economico-statistico, politico-sociale e ingegneria.
All’opposto, in due gruppi disciplinari (educazione fisica e psicologico) i laureati esteri sono meno del 2% del totale. Secondo i dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), l’Italia è all’ottavo posto tra i Paesi OCSE per attrattività del sistema universitario di secondo e terzo livello: su cento studenti “mobili”, ovvero studenti universitari che si recano in un Paese diverso da quello di origine, 2,6 scelgono l’Italia. Il nostro Paese è preceduto da Stati Uniti (26,3%), Regno Unito (15,0%), Francia (10,5%), Germania (9,8%), Australia (8,3%), Giappone (2,9%) e Canada (2,7%).
ISCRIZIONE ALL’UNIVERSITA’: LA FAMIGLIA E LA FORMAZIONE DEI GENITORI INFLUENZANO LE SCELTE DEI GIOVANI Si osserva che il contesto familiare ha un forte effetto sulle opportunità di completare il percorso di istruzione universitaria: fra i laureati, infatti, si rileva una sovra-rappresentazione dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti dal punto di vista socio-culturale. I laureati con almeno un genitore in possesso di un titolo universitario sono il 29,5%. Se si circoscrive la riflessione ai padri dei laureati, si rileva che il 21,0% è in possesso di un titolo universitario (nella popolazione maschile italiana fra i 45 e i 64 anni i laureati sono solo il 13,0%). Il contesto culturale e sociale della famiglia influisce anche sulla scelta del corso di laurea: i laureati provenienti da famiglie con livelli di istruzione più elevati hanno scelto più frequentemente corsi di laurea magistrale a ciclo unico (il 43,2% ha almeno un genitore laureato) rispetto ai laureati che hanno optato per un percorso “3+2” (26,4% per i laureati di primo livello e 29,8% per i magistrali biennali). Nel 2007 i laureati con almeno un genitore in possesso di un titolo universitario erano il 25,3%: 23,2% tra i laureati di primo livello, 30,2% tra i magistrali biennali e 45,1% tra i magistrali a ciclo unico.
BACKGROUND FORMATIVO DEI LAUREATI: PREVALGONO I DIPLOMI LICEALI
Per quanto riguarda il background formativo dei laureati del 2017, si registra una prevalenza dei diplomi liceali (67,2%) e in particolare del diploma scientifico (43,9%) e classico (16,3%), seguono con il 19,0% il diploma tecnico e il diploma pedagogico-sociale (8,1%); residuale risulta l’incidenza dei diplomi professionali (1,8%), dell’istruzione artistica (1,6%) e dei titoli esteri (2,2%). In termini di composizione per tipo di diploma si osservano differenze contenute tra i laureati di primo livello e quelli magistrali biennali (i diplomati liceali sono rispettivamente il 63,6% e il 68,1%), mentre i laureati a ciclo unico si caratterizzano per una forte incidenza dei titoli liceali: l’82,1% ha infatti una formazione liceale, in particolare scientifica (48,4%) e classica (29,8%).
LA RIUSCITA NEGLI STUDI UNIVERSITARI: MIGLIORANO ETA’ E REGOLARITA’, STABILE IL VOTO DI LAUREA L’età media alla laurea per il complesso dei laureati del 2017 è pari a 26,0 anni (nel 2016 era 26,1 anni): 24,8 anni per i laureati di primo livello, 27,0 per i magistrali a ciclo unico e 27,4 anni per i laureati magistrali biennali. Un dato che tiene conto anche del ritardo nell’iscrizione al percorso universitario (si tratta del ritardo rispetto alle età “canoniche” dei 19 anni, per la laurea di primo livello e per quella a ciclo unico, e di 22 anni, per la magistrale biennale), che tra i laureati del 2017 in media è pari a 1,4 anni. L’età alla laurea è diminuita in misura apprezzabile rispetto alla situazione pre-riforma e continua a diminuire negli ultimi anni: l’età media era infatti 27,0 anni nel 2007, di un anno più elevata rispetto alla situazione attuale. La regolarità negli studi, che misura la capacità di concludere il corso di laurea nei tempi previsti dagli ordinamenti, ha registrato negli ultimi anni un marcato miglioramento. Se nel 2007 concludeva gli studi in corso il 37,9% dei laureati, nel 2017 la percentuale raggiunge il 51,1% (era il 48,8% nel 2016): in particolare il 58,6% tra i magistrali biennali, il 50,8% tra i laureati di primo livello e il 39,1% tra i magistrali a ciclo unico. Peraltro, se dieci anni fa a terminare gli studi con quattro o più anni fuori corso erano 17,4 laureati su cento, oggi si sono quasi dimezzati (9,8%).
Il voto medio di laurea è sostanzialmente immutato negli ultimi anni ed è pari a 102,7 su 110 nel 2017 (rispetto a 102,9 su 110 nel 2007): 99,8 per i laureati di primo livello, 104,6 per i magistrali a ciclo unico e 107,7 per i magistrali biennali. Fra i laureati magistrali la votazione finale è molto elevata, in particolare per un effetto di tipo incrementale rispetto alla performance ottenuta alla conclusione del percorso di primo livello (nel 2017 l’incremento medio del voto di laurea alla magistrale rispetto alla laurea di primo livello è di 7,4 punti su 110).
LE ESPERIENZE DI STUDIO ALL’ESTERO, I TIROCINI E IL LAVORO DURANTE GLI STUDI AUMENTANO LE CHANCE DI TROVARE LAVORO L’11,1% dei laureati del 2017 ha svolto esperienze di studio all’estero riconosciute dal corso di studi (era il 7,9% nel 2007): più nel dettaglio, ciò è avvenuto per oltre l’8,8% utilizzando programmi dell’Unione Europea (Erasmus in primo luogo) e per il 2,3% attraverso altre esperienze riconosciute dal corso di studi (Overseas, ecc.). I laureati di primo livello sono tendenzialmente meno coinvolti da tali tipi di esperienze (8,2%) rispetto ai laureati magistrali a ciclo unico (15,2%) e a quelli biennali (15,1%); a questi ultimi si aggiunge, tra l’altro, un’ulteriore quota di laureati che ha partecipato a programmi comunitari di studio all’estero solamente durante il percorso di primo livello e che porta così a una quota totale del 19,8% nell’arco del 3+2: un valore prossimo all’obiettivo fissato in sede europea per il 2020 pari al 20%. Inoltre, l’8,8% del complesso dei laureati ha sostenuto esami all’estero poi convalidati al rientro e il 4,7% (quota che sale al 9,7% fra i laureati magistrali biennali) ha preparato all’estero una parte significativa della tesi.
Dal Rapporto emerge la figura di un laureato che vanta apprezzabili conoscenze linguistiche: la quota dei laureati 2017 con una conoscenza “almeno buona” dell’inglese scritto è pari al 76,1% e raggiunge l’81,3% tra i laureati magistrali biennali Ha compiuto un’esperienza di tirocinio curriculare o stage riconosciuta dal corso di studi il 57,9% dei laureati (era il 50,8% nel 2007). Nel dettaglio, ha svolto tirocini il 60,3% dei laureati di primo livello (oltre i due terzi dei quali sono stati svolti al di fuori dell’università), il 44,2% dei laureati magistrali a ciclo unico e il 60,0% dei laureati magistrali biennali; a questi ultimi si somma il 12,5% dei laureati che hanno fatto esperienze di tirocinio soltanto durante la laurea di primo livello, portando la quota complessiva di laureati magistrali biennali con esperienze di stage al 72,5%. Il 69,5% dei laureati che ha svolto queste esperienze esprime un’opinione decisamente positiva sui tirocini organizzati dal corso di studi.
Negli ultimi dieci anni si è registrata una flessione della quota di laureati con esperienze di lavoro durante gli studi (dal 74,9 al 65,6%), probabilmente per effetto sia della crisi economica sia del progressivo ridursi della quota di popolazione adulta iscritta all’università. Nell’ultimo anno però si è registrata un’inversione di tendenza: la quota di laureati con esperienze di lavoro durante gli studi è lievemente aumentata (+0,6 punti percentuali), in particolare grazie alla ripresa delle esperienze di lavoro occasionale. Nel 2017 le esperienze di lavoro complessivamente considerate hanno caratterizzato il 66,1% dei laureati di primo livello, il 58,4% dei magistrali a ciclo unico e il 67,2% dei magistrali biennali. Più nel dettaglio, 6,3 laureati su cento hanno conseguito la laurea lavorando stabilmente durante gli studi (lavoratori-studenti); altri 59,3 laureati su cento hanno avuto esperienze di lavoro occasionale (studentilavoratori). Specularmente, l’incidenza di laureati che giungono al conseguimento del titolo privi di alcun tipo di esperienza lavorativa è aumentata negli ultimi 10 anni e nel 2017 raggiunge il 34,2% (+10,0 punti percentuali rispetto ai laureati del 2007).
AlmaLaurea mostra, attraverso specifici approfondimenti, che fare un’esperienza di studio all’estero con un programma europeo o svolgere un tirocinio curriculare o avere lavorato durante gli studi, a parità di condizioni, aumenta le chance di trovare un lavoro ad un anno dalla conclusione degli studi. Nello specifico, le esperienze di studio all’estero con programmi europei aumentano le chance occupazionali del 14,0%, i tirocini del 20,6% e aver lavorato occasionalmente durante gli studi del 53,0%. Inoltre, trascorrere un periodo di studio all’estero o svolgere un tirocinio curriculare, a parità di condizioni, non solo non comporta ritardi nella conclusione del percorso universitario, ma influenza positivamente la probabilità di ottenere elevate votazioni alla laurea.
SI CONFERMA ELEVATA LA SODDISFAZIONE PER L’ESPERIENZA UNIVERSITARIA CONCLUSA
Per analizzare la soddisfazione per l’esperienza universitaria appena conclusa si è scelto di prendere in considerazione l’opinione espressa dai laureati in merito ad alcuni aspetti. In generale l’88,1% dei laureati si dichiara complessivamente soddisfatto dell’esperienza universitaria appena conclusa (nel 2007 era l’87,1%); in particolare, si tratta dell’87,9% tra i laureati di primo livello, dell’86,4% tra i magistrali a ciclo unico e dell’89,4% tra i magistrali biennali. Si osservano variazioni nella soddisfazione per l’esperienza universitaria anche in base all’ateneo di conseguimento del titolo con valori comunque molto positivi: l’intervallo di variazione va dall’82,1% al 96,7%.
L’85,5% dei laureati è complessivamente soddisfatto del rapporto con il corpo docente (con variazioni per ateneo che vanno dal 73,4% al 96,4%); tale percentuale è identica per i laureati di primo livello, scende al 77,9% tra i magistrali a ciclo unico e sale all’89,2% tra i magistrali biennali. In merito alle infrastrutture messe a disposizione dall’Ateneo, 72,0 laureati su cento che ne hanno usufruito considerano le aule adeguate (con punte di soddisfazione per ateneo che arrivano al 98,8% e che solo in qualche caso scendono sotto il 50%): sono il 70,6% tra i laureati di primo livello, il 66,3% tra i laureati magistrali a ciclo unico e il 77,3% tra i magistrali biennali. E quanti rifarebbero lo stesso percorso presso lo stesso Ateneo? Il 69,1% dei laureati sceglierebbe nuovamente lo stesso corso e lo stesso Ateneo (quota stabile rispetto a quanto osservato nel 2007); il 12,6% rifarebbe lo stesso percorso ma in un altro Ateneo; il 9,1% cambierebbe corso ma sceglierebbe lo stesso Ateneo. Tra i laureati di primo livello e tra i magistrali a ciclo unico confermano corso e Ateneo rispettivamente 67,1 e 66,3 laureati su cento, mentre tra i magistrali biennali tale quota sale a 74,2 su cento.
POST LAUREA: QUASI LA META’ DEI LAUREATI E’ DISPOSTA A TRASFERIRSI ALL’ESTERO Per quanto riguarda le prospettive di lavoro, alla storica mobilità per studio/lavoro lungo la direttrice SudNord, che continua a caratterizzare il nostro Paese, si affianca da qualche tempo quella verso l’Europa e gli altri Paesi extra-europei. Questi costituiscono una destinazione alla quale guarda un numero crescente di giovani neolaureati, non solo per lo studio ma anche come possibile mèta lavorativa. Con tutta probabilità le difficoltà a trovare un’adeguata collocazione nel proprio Paese spingono i laureati a rendersi disponibili a varcare le Alpi. La disponibilità a lavorare in un altro Stato europeo è dichiarata dal 48,4% dei laureati (era il 49,8% nel 2016 e il 38,5% nel 2007); il 33,7% è addirittura pronto a trasferirsi in un altro continente. Si rileva una diffusa disponibilità ad effettuare trasferte anche frequenti (27,3%), ma anche a trasferire la propria residenza (50,8%). Solo il 2,8% non è disponibile a trasferte.
LA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI LAUREATI – RAPPORTO 2018
La popolazione di riferimento del Rapporto 2018 sulla Condizione occupazionale è complessivamente di oltre 630 mila laureati. Nel dettaglio, la rilevazione ha coinvolto tutti i laureati di primo e secondo livello – magistrali biennali e magistrali a ciclo unico – del 2016 (270 mila), intervistati a un anno dal termine degli studi, i laureati di secondo livello del 2014 (110 mila) e del 2012 (108 mila), contattati a tre e a cinque anni dalla laurea. Infine, due indagini specifiche hanno riguardato i laureati di primo livello del 2014 e del 2012 che non hanno proseguito la formazione universitaria (circa 80 mila e 68 mila, rispettivamente), contattati a tre e cinque anni dalla laurea. I dati di seguito presentati si concentrano sull’analisi delle performance dei laureati di primo livello e magistrali biennali usciti nel 2016 e nel 2012, intervistati a uno e cinque anni dal titolo1.
I LAUREATI A UN ANNO DALLA LAUREA: E’ OCCUPATO IL 71,1% DEI LAUREATI DI PRIMO LIVELLO (+2,9 PUNTI RISPETTO AL 2016) E IL 73,9% (+3,1 PUNTI) DEI MAGISTRALI BIENNALI L’indagine ha coinvolto 156 mila laureati di primo livello del 2016 e 79 mila laureati magistrali biennali del 2016 intervistati nel 2017 dopo un anno dal titolo.
Il 58,6% dei laureati di primo livello, dopo il conseguimento del titolo, decide di proseguire il percorso formativo iscrivendosi ad un corso di secondo livello (marginale la quota di chi si iscrive ad un corso triennale). Dopo un anno, il 57,6% risulta ancora iscritto. Per un’analisi più puntuale, pertanto, vengono di seguito fotografate le performance occupazionali dei laureati di primo livello che, dopo la conquista del titolo, hanno scelto di non proseguire gli studi universitari e di immettersi direttamente nel mercato del lavoro.
Ad un anno dal titolo il tasso di occupazione, che considera anche quanti risultano impegnati in attività di formazione retribuita, è pari al 71,1% tra i laureati di primo livello e al 73,9% tra i magistrali biennali. Il confronto con le precedenti rilevazioni evidenzia un tendenziale miglioramento del tasso di occupazione che, nell’ultimo quadriennio, è aumentato di 5,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 3,8 punti per i magistrali biennali. Si tratta di segnali positivi, soprattutto quelli dell’ultimo anno (il tasso di occupazione è aumentato di 2,9 punti per i laureati di primo livello e di 3,1 punti per i magistrali biennali), che non sono però ancora in grado di colmare la significativa contrazione del tasso di occupazione intervenuta tra il 2008 e il 2013 (-17,1 punti percentuali per i primi; -10,8 punti per i secondi).
I laureati di primo livello presentano, ad un anno, un tasso di disoccupazione (calcolato sulle forze di lavoro, cioè su coloro che sono già inseriti o intenzionati a inserirsi nel mercato del lavoro) pari al 17,4%, mentre i laureati magistrali biennali mostrano un tasso di disoccupazione del 16,4%. Per il quarto anno consecutivo si registra una diminuzione del tasso di disoccupazione; rispetto al 2013 il calo è di 9,2 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 6,5 punti per quelli magistrali biennali (nell’ultimo anno la contrazione è, per entrambi i collettivi, di 3,4 punti percentuali). Anche in tal caso, però, il miglioramento registrato negli anni più recenti non riporta il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi. Tra il 2008 e il 2013, infatti, il tasso di disoccupazione era aumentato di 15,4 punti per i laureati di primo livello e di 12,1 punti per i magistrali biennali.
ATTIVITA’ LAVORATIVA: NELL’ULTIMO ANNO DIMINUISCONO IL LAVORO AUTONOMO E I CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO. AUMENTANO I CONTRATTI NON STANDARD L’attività autonoma (liberi professionisti, lavoratori in proprio, imprenditori, ecc.) riguarda il 12,9% dei laureati di primo livello e il 7,3% dei laureati magistrali biennali occupati: entrambi i valori sono in diminuzione rispetto all’indagine dell’anno scorso (rispettivamente, -1,5 e -1,4 punti percentuali). Anche i contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato risultano in calo rispetto all’indagine dell’anno scorso: tra i laureati di primo livello tale quota è pari al 23,5% (-5,5 punti percentuali rispetto al 2016); tra i laureati magistrali biennali è pari al 26,9% (-7,0 punti percentuali rispetto al 2016). Nell’ultimo anno si registra un aumento dei contratti non standard (in particolare alle dipendenze a tempo determinato) pari al 38,1% per i laureati di primo livello e al 34,3% per i magistrali biennali (rispettivamente, +5,2 e +6,9 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione).
Rispetto al 2008 si assiste a un deciso incremento del lavoro non standard, cresciuto di 14,2 punti percentuali tra i laureati di primo livello e di 13,2 punti tra i magistrali biennali; mentre è diminuito il lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato, rispettivamente di 18,3 e di 7,0 punti percentuali. Più contenute le altre variazioni: in particolare, rispetto al 2008 si registra un aumento del lavoro autonomo di 3,5 punti percentuali tra i laureati di primo livello e di 0,9 punti tra i laureati del biennio magistrale.
RETRIBUZIONI STABILI NELL’ULTIMO ANNO La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, in media, pari a 1.107 euro per i laureati di primo livello e 1.153 euro per i laureati magistrali biennali. Seppure rispetto allo scorso anno non si registrino variazioni di rilievo, nell’ultimo quadriennio le retribuzioni reali (ovvero che tengono conto del mutato potere d’acquisto) percepite dai laureati ad un anno risultano in aumento: +9,7% per i laureati di primo livello, +9,9% punti percentuali per i magistrali biennali. L’incremento evidenziato non è però ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva registrata nel periodo 2008-2013 (-23,2% per il primo livello, -19,5% per i magistrali biennali).
EFFICACIA DELLA LAUREA: VALUTAZIONE POSITIVA PER IL 52,8% DEI LAUREATI DI PRIMO LIVELLO E PER IL 48,4% DEI LAUREATI MAGISTRALI BIENNALI Ma quanti svolgono un lavoro coerente con gli studi fatti? Per rispondere a questa domanda AlmaLaurea considera l’efficacia del titolo, che combina richiesta della laurea per l’esercizio del lavoro svolto e utilizzo, nel lavoro, delle competenze apprese all’università. Per circa la metà dei laureati occupati ad un anno, il titolo risulta “molto efficace o efficace”: 52,8% per i laureati di primo livello, 48,4% per i magistrali biennali. Rispetto a quanto rilevato lo scorso anno, l’efficacia risulta in aumento di 1,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e stabile per i magistrali biennali. Rispetto al 2013 si rileva un aumento di 6,6 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 4,0 punti per i magistrali biennali. Anche in questo caso, è però vero che il miglioramento registrato negli ultimi anni non cancella le difficoltà incontrate nel periodo 2008-2013, in corrispondenza del quale la quota di laureati che ha dichiarato la laurea molto efficace o efficace è diminuita di 11,7 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 6,8 punti per quelli del biennio magistrale.
LAVORO A CINQUE ANNI DALLA LAUREA: E’ OCCUPATO L’87,8% DEI LAUREATI DI PRIMO LIVELLO (+0,7 PUNTI RISPETTO AL 2016) E L’87,3% DEI MAGISTRALI BIENNALI (+3,0 PUNTI) L’indagine a cinque anni dal titolo ha coinvolto 68 mila laureati di primo livello del 2012, che non hanno proseguito gli studi iscrivendosi alla laurea magistrale, e 78 mila laureati magistrali biennali del 2012 intervistati nel 2017 dopo cinque anni dal titolo. Tra uno e cinque anni dalla laurea migliorano le performance occupazionali ma i momenti di criticità, vissuti da chi si è affacciato sul mercato del lavoro negli anni bui della crisi, ne hanno inevitabilmente condizionato gli esiti. Per questi laureati, infatti, è solo nell’ultimo biennio che si sono manifestati i segnali di ripresa della capacità di assorbimento del mercato del lavoro. Nel dettaglio, a cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione (si considerano occupati anche quanti sono in formazione retribuita) è pari all’87,8% tra i laureati di primo livello e all’87,3% tra i laureati magistrali biennali. Tali valori risultano in aumento, rispetto al 2015, di 2,2 e di 3,0 punti percentuali, rispettivamente; il confronto con la rilevazione dello scorso anno mostra un incremento di 0,7 e di 3,0 punti percentuali. È pur vero che, anche in tal caso, tali segnali di miglioramento intervengono dopo anni di significativa contrazione del tasso di occupazione che, tra il 2012 e il 2015, è diminuito di 5,0 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 5,9 punti per i magistrali biennali.
A cinque anni dalla laurea, il tasso di disoccupazione (calcolato sulle forze di lavoro, cioè su coloro che sono già inseriti o intenzionati a inserirsi nel mercato del lavoro) riguarda il 6,7% dei laureati di primo livello e il 6,9% dei laureati magistrali biennali. Rispetto alla rilevazione dell’anno scorso tali valori risultano rispettivamente in diminuzione di 1,1 e 2,0 punti percentuali; tale calo si verifica per il secondo anno consecutivo (rispetto al 2015, -2,4 e -2,8 punti percentuali, rispettivamente). Tale contrazione interviene però dopo un periodo di progressivo innalzamento del tasso di disoccupazione che, tra il 2012 e il 2015, è infatti aumentato di 3,1 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 3,8 punti per i magistrali biennali.
ATTIVITA’ LAVORATIVA: NELL’ULTIMO ANNO DIMINUISCONO IL LAVORO AUTONOMO E I CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO. AUMENTANO I CONTRATTI NON STANDARD Tra i laureati del 2012, a cinque anni dal conseguimento del titolo, il lavoro autonomo (liberi professionisti, lavoratori in proprio, imprenditori, ecc.) si attesta al 12,7% tra i laureati di primo livello, mentre sale al 16,0% tra i laureati del biennio magistrale. La quota di chi è assunto con contratto a tempo indeterminato raggiunge il 56,0% tra i laureati di primo livello e il 54,6% tra i magistrali biennali. Rispetto alla precedente rilevazione, per entrambi i collettivi si registra una contrazione del lavoro autonomo (rispettivamente -1,0 e -2,4 punti percentuali) e dei contratti di lavoro a tempo indeterminato (-4,7 punti percentuali per i laureati di primo livello e -1,6 per i magistrali biennali). Tra gli occupati a cinque anni dal titolo, 17,9 laureati di primo livello su cento sono assunti con un contratto non standard; sono 19,4 su cento tra i magistrali biennali. Tali quote figurano in tendenziale aumento (rispetto allo scorso anno: +3,2 punti per i laureati di primo livello, +2,8 punti per i magistrali biennali).
Rispetto alla rilevazione del 2012 si registra un aumento del lavoro non standard (+8,1 punti per i laureati di primo livello e +7,1 per quelli magistrali biennali) e una contrazione del lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato (rispettivamente, -12,4 e -0,4 punti percentuali). Il lavoro autonomo registra un aumento (+2,3 punti) tra i laureati di primo livello e una contrazione tra quelli del biennio magistrale (-1,7 punti percentuali).
RETRIBUZIONI STABILI PER I LAUREATI DI PRIMO LIVELLO E IN LIEVE AUMENTO PER I MAGISTRALI BIENNALI A cinque anni dalla laurea la retribuzione mensile netta è pari a 1.359 euro per i laureati di primo livello e 1.428 euro per i laureati magistrali biennali. Rispetto al 2015, si evidenzia una sostanziale stabilità delle retribuzioni reali (ovvero che tengono conto del mutato potere d’acquisto) per i laureati di primo livello e un tendenziale aumento retributivo per i magistrali biennali (+1,9%). Nonostante questo, le retribuzioni registrate nel 2017 sono inferiori rispetto a quelle del 2012.
EFFICACIA DELLA LAUREA: VALUTAZIONE POSITIVA PER IL 60,9% DEI LAUREATI DI PRIMO LIVELLO E PER IL 53,6% DEI LAUREATI MAGISTRALI BIENNALI La corrispondenza tra laurea conseguita e lavoro svolto è misurata dall’efficacia del titolo che, a cinque anni, risulta “molto efficace o efficace” per il 60,9% dei laureati di primo livello occupati e per il 53,6% dei laureati magistrali biennali occupati. Il confronto con la rilevazione del 2012 evidenzia un calo di 5,0 punti dell’efficacia tra i laureati di primo livello e di 1,2 punti per i magistrali biennali (solo nell’ultimo anno, -1,9 e -0,7 punti percentuali, rispettivamente).
LA MOBILITÀ GEOGRAFICA PER MOTIVI DI LAVORO Dall’analisi combinata tra ripartizione geografica di residenza alla laurea e ripartizione geografica di lavoro, emerge una diversa mobilità tra i laureati magistrali biennali del Nord, del Centro e del Sud. In particolare, si rileva che: 1) tra i laureati residenti al Nord, occupati a cinque anni, il 10,2% lavora al di fuori della propria ripartizione territoriale; il principale flusso di mobilità è verso l’estero (7,7%); 2) tra i laureati residenti al Centro, occupati a cinque anni, il 18,1% lavora al di fuori della propria ripartizione territoriale, prevalentemente al Nord (10,4%) e all’estero (6,2%); 3) tra i laureati residenti al Sud, occupati a cinque anni, il 44,9% lavora al di fuori della propria ripartizione territoriale; più nel dettaglio, il 25,6% lavora al Nord, il 13,7% al Centro, il 5,6% all’estero.
IL 6,6% DEI LAUREATI MAGISTRALI BIENNALI ITALIANI A CINQUE ANNI LAVORA ALL’ESTERO A cinque anni dalla laurea lavora all’estero il 6,6% dei laureati magistrali biennali di cittadinanza italiana (quota stabile rispetto al 2016, +0,6 punti percentuali rispetto al 2013). Chi decide di spostarsi all’estero per motivi lavorativi risulta mediamente più brillante (in particolare in termini di voti negli esami e regolarità negli studi) rispetto a chi decide di rimanere in Italia a lavorare. A cinque anni dal conseguimento del titolo magistrale, l’83,3% degli occupati all’estero lavora in Europa: il 20,6% dei lavora nel Regno Unito, il 12,9% in Svizzera e l’11,7% in Germania; il 10,3%, invece, lavora in Francia, mentre il 5,8% in Spagna. Più contenute le quote di occupati nelle Americhe (7,9%) e in Asia (5,2%); residuali i restanti continenti (rispettivamente pari ad Africa 1,4% e Oceania 2,0%).
Le retribuzioni medie percepite all’estero sono notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia: i laureati magistrali biennali occupati all’estero guadagnano, a cinque anni dal titolo, 2.258 euro mensili netti, +65,4% rispetto ai 1.365 euro dei laureati occupati in Italia. Il 45,9% dei laureati biennali a cinque anni ha dichiarato di essersi trasferito all’estero per mancanza di opportunità di lavoro adeguate in Italia, cui si aggiunge un ulteriore 24,1% che ha lasciato il nostro Paese avendo ricevuto un’offerta di lavoro interessante da parte di un’azienda che ha sede all’estero. L’11,4% ha dichiarato invece di aver svolto un’esperienza di studio all’estero (Erasmus, preparazione della tesi, formazione post-laurea, ecc.) e di essere rimasto o tornato per motivi di lavoro. Un ulteriore 13,0% si è trasferito per motivi personali o familiari, mentre il 4,7% lo ha fatto su richiesta dell’azienda presso cui stava lavorando in Italia. È stato inoltre chiesto ai laureati occupati all’estero di esprimere un parere sull’ipotesi di rientro in Italia: complessivamente, il 36,2% ritiene tale scenario molto improbabile, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni. Di contro, solo il 15,2% è decisamente ottimista, ritenendo il rientro nel nostro Paese molto probabile. Il 30,0% valuta tale ipotesi poco probabile mentre il 18,1% non è in grado di esprimere un giudizio.
GRUPPI DISCIPLINARI ALLA PROVA DEL LAVORO Tra i laureati magistrali biennali del 2012 intervistati a cinque anni dal conseguimento del titolo si registrano rilevanti differenze tra i vari gruppi disciplinari. I laureati in ingegneria, delle professioni sanitarie e quelli del gruppo economico-statistico mostrano le migliori performance occupazionali, dal momento che il tasso di occupazione è ovunque superiore al 90%. Sono invece al di sotto della media i tassi di occupazione dei laureati dei gruppi giuridico, geo-biologico e letterario (il tasso di occupazione è inferiore all’80%).
Il tasso di disoccupazione, a cinque anni dalla laurea, è pari al 6,9%; rimane su valori più elevati tra i laureati dei gruppi giuridico (14,0%), letterario (11,9%), e geo-biologico (11,1%). Fisiologico il tasso di disoccupazione per i laureati delle professioni sanitarie (2,6%) e del gruppo ingegneria (2,7%).
È assunto con un contratto alle dipendenze a tempo indeterminato il 75,9% dei laureati in ingegneria e il 71,4% dei laureati delle professioni sanitarie. Seguono con il 63,9% i laureati del gruppo chimicofarmaceutico e con il 63,1% quelli dell’economico-statistico. All’estremo opposto, si trovano i laureati dei gruppi architettura, educazione fisica, giuridico e psicologico, tutti con una quota di occupati a tempo indeterminato inferiore al 35%. È però vero che, con la sola esclusione di educazione fisica, è proprio tra i laureati di questi gruppi che è maggiormente diffuso il lavoro autonomo: a cinque anni dalla laurea è pari al 48,1% ad architettura, al 45,4% nel gruppo giuridico, al 35,0% in quello psicologico. Lavora con un contratto non standard (prevalentemente alle dipendenze a tempo determinato) il 36,3% dei laureati del gruppo letterario, il 35,6% di quelli di educazione fisica e il 35,0% di quelli del linguistico. Su tale risultato incide sicuramente l’elevata quota di laureati, di questi gruppi disciplinari, assorbiti dal settore dell’insegnamento.
Sono soprattutto i laureati di ingegneria, del gruppo scientifico e del chimico-farmaceutico che possono contare sulle più alte retribuzioni: rispettivamente 1.753, 1.668 e 1.633 euro mensili netti. Non raggiungono invece i 1.200 euro mensili le retribuzioni dei laureati dei gruppi psicologico, insegnamento e letterario. Percorsi, generalmente a prevalenza femminile, il cui sbocco professionale è relativo soprattutto al mondo dell’insegnamento, notoriamente non troppo generoso in termini di valorizzazione economica A cinque anni dal titolo, i valori più elevati di efficacia sono raggiunti tra i laureati del gruppo giuridico (68,1%) ed educazione fisica (66,6%). Seguono gli occupati nei gruppi geo-biologico, architettura e scientifico (valori di poco superiori al 63%). Inferiori alla media invece i livelli di efficacia dei laureati del politico-sociale (32,2%) e delle professioni sanitarie (42,8%; si tratta di laureati che utilizzano la laurea magistrale per progressioni di carriera interne all’azienda ospedaliera).
LAUREARSI CONVIENE All’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare intrappolati nell’area della disoccupazione. Generalmente i laureati sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, disponendo di strumenti culturali e professionali più adeguati. I laureati godono di vantaggi occupazionali significativi rispetto ai diplomati di scuola secondaria superiore durante l’arco della vita lavorativa: nel 2017, il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è il 78,3% tra i laureati, contro il 65,5% di chi è in possesso di un diploma.
Inoltre, nel 2013 un laureato guadagnava il 41,2% in più rispetto ad un diplomato di scuola secondaria superiore. Certo, il premio salariale della laurea rispetto al diploma, in Italia, non è elevato come in altri Paesi europei (+52,6% per l’UE22, +66,3% per la Germania e +53,0% per la Gran Bretagna), ma è comunque apprezzabile e significativo e simile a quello rilevato in Francia (+54,4%).