I mini prestiti fino a 25 mila euro introdotti dal “decreto liquidità” a sostegno dei liberi professionisti, dei lavoratori autonomi e delle Pmi non hanno riscosso l’interesse sperato. Almeno sino ad ora.

A dirlo è la CGIA che ha riscontrato che fino allo scorso 30 aprile le banche hanno fatto pervenire al Fondo di garanzia del Mediocredito Centrale 45.703 domande. Ebbene, se teniamo conto che la platea delle imprese e dei liberi professionisti interessati per legge da questa misura è costituita da oltre 5.250.000 attività, vuol dire che solo lo 0,9 per cento di queste ultime ha fatto ricorso a questa misura.

“Questo flop – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – era prevedibile. Tantissime partite Iva sono state obbligate a chiudere temporaneamente per legge e successivamente, a seguito delle richieste di credito sollevate dalle stesse, il Governo gli ha teso una mano con il decreto liquidità, costringendole a indebitarsi con le banche. Una soluzione che, ovviamente, non poteva riscuotere l’entusiasmo degli interessati.

A nostro avviso, invece, in questo momento particolare le piccole imprese dovrebbero essere sorrette con contributi a fondo perduto. In altre parole, ad indebitarsi è bene che lo faccia lo Stato e non le imprese che con troppi debiti, purtroppo, rischiano di implodere”.

Tornando ai dati sulla presentazione delle domande al Fondo di garanzia, non è da escludere che il numero ufficiale (45.703) pervenuto al Fondo di garanzia sia sottostimato. Molte richieste, infatti, sono ancora in fase di lavorazione presso gli istituti di credito.

Tanti imprenditori, infatti, hanno inviato la domanda non correttamente e sono stati invitati a modificarla/integrarla. Pertanto, se conteggiassimo anche le richieste che sono “bloccate” presso gli sportelli bancari che, secondo indiscrezioni giornalistiche, ammonterebbero a circa 250 mila, l’incidenza percentuale delle aziende interessate dal micro prestito fino a 25 mila euro rimarrebbe comunque bassissima. Una misera percentuale del 5,6 per cento.

“In un momento di emergenza nazionale non è il caso di fare polemiche – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – tuttavia, è necessario consentire alle Pmi di accedere alle risorse con più facilità. A nostro avviso il modello da seguire è quello tedesco. A parità di costi, o quasi, ma con fatturati in caduta libera, se nelle prossime settimane le aziende non avranno a disposizione la liquidità necessaria per far fronte alle esigenze di ogni giorno, nel giro di qualche mese molte di queste saranno costrette a chiudere definitivamente i battenti”.

Come riportato più sopra, la CGIA auspica che anche in Italia si riproduca l’esperienza maturata in Germania in queste ultime settimane. Per sostenere le piccole imprese, infatti, il governo federale e i länder tedeschi hanno erogato, alle realtà con meno di 15 addetti, fino a 15 mila euro a fondo perduto. Una misura di grande attenzione alle piccolissime attività che sia la Banca d’Italia (nell’audizione alla Camera dei Deputati di lunedì 27 aprile 2020) sia il Commissario Europeo al Mercato Interno e ai Servizi, Thierry Breton1, hanno suggerito al nostro Governo di adottare anche in Italia.

Le piccole e micro imprese, comunque, sono da sempre fortemente indebitate e a corto di liquidità. Nel 2019, infatti, registravano livelli di indebitamento che non possono essere ritoccati ulteriormente all’insù, come invece “suggerito” dal “decreto liquidità”. Quelle con meno di 5

addetti, ad esempio, presentavano una esposizione bancaria media (in bonis) di 115 mila euro per affidato. Un importo che se aumentato rischia di rendere insolvibili moltissime attività.

Tuttavia, non è solo la mancanza di credito a preoccupare la CGIA, ma anche le previsioni dei consumi delle famiglie italiane per l’anno in corso. Secondo il Def 2020, infatti, la caduta sarà pari al 7,2 per cento; in termini assoluti il crollo degli acquisti rispetto al 2019 sarà di circa 75 miliardi e a farne le spese saranno soprattutto gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie. Insomma, i fatturati di queste piccole attività sono destinati a cadere rovinosamente, trascinando verso la chiusura definitiva tantissimi negozi di vicinato.

Sul fronte della proteste che stanno montando in tutto il Paese, la CGIA denuncia i gravi errori di comunicazione compiuti dal Premier Conte domenica scorsa (26 aprile 2020). Solo due giorni dopo la pubblicazione del DPCM, gli italiani sono venuti a conoscenza dell’esistenza di un dossier dell’Istituto Superiore della Sanità che, tramite una serie di proiezioni, allertava che una riapertura totale delle attività a inizio maggio avrebbe potuto causare oltre 150 mila ricoveri nei reparti di terapia intensiva già a partire dal prossimo 8 giugno.

Siamo certi che se il Presidente del Consiglio avesse citato i risultati di questo studio durante la conferenza stampa, nessuno avrebbe criticato la decisione di scaglionare le aperture delle aziende artigianali e commerciali. Tutti avrebbero capito, invece, il Premier ha fatto solo una grande confusione, alimentando ulteriormente il senso di sconforto che attanaglia moltissimi piccoli imprenditori che, loro malgrado, ritorneranno al lavoro, forse, solo fra un mese.

 

 

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