E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute.
E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel commentare lo storico pronunciamento della Corte dei Conti Europea sulle sostanze chimiche negli alimenti dove si sottolinea il mancato rispetto nei cibi di provenienza extraUe degli stessi standard di sicurezza Ue sui residui di pesticidi e si chiede alla Commissione Europea di spiegare “quali misure intende adottare per mantenere lo stesso livello di garanzia sia per gli alimenti prodotti nella Ue che per quelli importati”.
Va anche tolto in Italia – aggiunge Prandini – il segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero per consentire interventi mirati in situazioni di emergenza sanitaria che si ripetono sempre piu’ frequentemente
L’obiettivo fissato dalla Corte dei Conti Ue di eliminare nel 2019 “tolleranze all’importazione per alcuni residui di antiparassitari” dei prodotti importati è necessario – sostiene la Coldiretti – per offrire le garanzie di sicurezza attese dai consumatori.
Il numero di prodotti agroalimentari extracomunitari con residui chimici irregolari è stato pari al 4,7% per quelli provenienti da paesi extracomunitari rispetto alla media Ue dell’1,2% e ad appena lo 0,4% dell’Italia secondo le elaborazioni Coldiretti sulle analisi relative alla presenza di pesticidi rilevati sugli alimenti venduti in Europa effettuata dall’ Efsa.
In altre parole i prodotti extracomunitari sono 4 volte piu’ pericolosi di quelli comunitari e 12 volte di quelli Made in Italy.
Sotto accusa sono spesso le importazioni incontrollate dall’estero favorite dagli accordi commerciali agevolati stipulati dall’Unione Europea come il caso delle condizioni favorevoli che sono state concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli e zucchine o all’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi.
Accordi – continua la Coldiretti – fortemente contestati perché nei paesi di origine è spesso permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera.
Nell’Unione Europea si sono verificati nel 2018 quasi dieci allarmi sul cibo al giorno che mettono in pericolo la salute dei cittadini e alimentano psicosi nei consumi per le difficoltà di confinare rapidamente l’emergenza, sulla base delle elaborazioni Coldiretti su dati del Sistema di Allerta Rapido (RASFF) relativi ai primi nove mesi dell’anno.
A livello Ue – precisa la Coldiretti – sono stati 2654 gli allarmi scattati nei primi nove mesi del 2018, il 60% dei quali provocati da prodotti di origine extracomunitaria che spesso arrivano anche grazie alle agevolazioni tariffarie concesse dall’Unione Europea
Al vertice dell’insicurezza c’è la Turchia con ben 231 allarmi dei quali ben 39 si riferiscono alle presenza di aflatossine cancerogene nelle nocciole molto usate dall’industria dolciaria, seguita da vicino dalla Cina (230).
Tra i maggiori pericoli – continua la Coldiretti – ci sono la presenza di microrganismi patogeni, le micotossine, i residui di fitofarmaci, la contaminazione da metalli pesanti o la presenza di corpi estranei o non autorizzati.
Oltre alla necessaria intensificazione dei controlli alle frontiere comunitarie occorre estendere a tutti gli alimenti l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per consentire scelte di acquisto consapevoli come chiede il 70% dei cittadini europei (82% in Italia) che vuole conoscere da dove viene il cibo sulle loro tavole, che diventa 90% nei casi di derivati del latte e della carne, secondo una ricerca di Beuc (l’organizzazione europea dei consumatori).
Per spingere l’Unione Europea a completare il percorso è nato – spiega la Coldiretti – un fronte europeo per la trasparenza in etichetta con la raccolta di un milione di firme in almeno 7 Paesi dell’Unione.
La petizione chiede di migliorare la coerenza delle etichette, inserendo informazioni comuni nell’intera Unione circa la produzione e i metodi di trasformazione, al fine di garantire la trasparenza in tutta la catena alimentare.