L’intera popolazione mondiale è in questo momento soggetta ad un “attacco” da parte di un’entità microscopica e che, paradossalmente, non si può nemmeno definire vivente, il virus SARS-CoV2 che causa la COVID-19. Infatti, i virus per riprodursi hanno bisogno di un ospite ed usano i meccanismi di riproduzione di quell’ospite. Nel caso di SARS-CoV2 l’ospite attuale è l’uomo sebbene la sua reale origine sia ancora controversa ed oggetto di dibattito nella comunità scientifica. La teoria più accreditata, basata su analisi genetiche ed evolutive, è che il SARS-CoV2 si sia sviluppato in un ospite animale e che, in seguito a casuali cambiamenti nel suo corredo genetico, è diventato infettivo e trasmissibile da uomo a uomo.
A causa della novità, soprattutto all’inizio della pandemia nessuno poteva sapere come comportarsi e come curare i pazienti infetti. Questo insieme di eventi ha causato uno sviluppo molto rapido e devastante dell’epidemia che è divenuta pandemia nel giro di pochi mesi. Una situazione di estrema emergenza e di portata mondiale non consente di progettare farmaci nuovi ed efficaci, procedura che richiede anni.
La comunità scientifica internazionale si è quindi immediatamente dedicata alla ricerca di vaccini. Parallelamente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS – WHO) ha lanciato una iniziativa chiamata “SOLIDARITY” basata sull’idea di individuare, fra i farmaci già esistenti, qualcuno che sia efficace nel trattare la patologia COVID-19 causata dal virus. Questa strategia, laddove si rivelasse efficace, rappresenterebbe un percorso molto più rapido. In questa situazione emergenziale, ogni informazione connessa alla riduzione dell’esposizione al virus è importante. Fra le informazioni rilevanti vi è la capacità del virus a persistere, prima di entrare in contatto con un nuovo ospite, su superfici su cui può essere rilasciato da pazienti contagiati e contagiosi.
A tale scopo, uno studio statunitense (Neeltje van Doremalen et al, New Eng. J. Med. 2020) ha chiarito che il virus resiste su varie superfici per tempi differenti. In particolare è stato analizzato il tempo di permanenza su plastica, acciaio, rame e cartone.
I dati indicano che il virus SARS-CoV2 è più stabile sulla plastica e sull’acciaio, meno su rame e cartone. Infatti, su rame il virus sparisce dopo sole 4 ore, sul cartone sparisce dopo 24 ore.
Su plastica ed acciaio permane per più tempo, resistendo fino a 2 giorni sull’acciaio e 3 giorni sulla plastica. In ogni caso, su queste superfici il virus riduce moltissimo la sua pericolosità dopo 1 giorno sull’acciaio e dopo 2 giorni sulla plastica.
I dati dello studio si riferiscono alla permanenza del virus sulle superfici in assenza di trattamenti disinfettanti. Infatti, è ormai noto che soluzioni disinfettanti contenti alcol etilico al 70% inattivano il virus in pochi minuti.
Sono più frequenti in ambiente ospedaliero dove vi sono macchinari per la respirazione artificiale. Ciò spiega la rapida diffusione che il virus ha avuto negli ambienti ospedalieri, prima che si comprendesse come si diffonde e quanto tempo resiste. In conclusione, le misure igieniche e di disinfezione insieme alle norme di distanziamento sociale, introdotte con il cosiddetto “lockdown” in quasi tutti i paesi del mondo, hanno indubbiamente determinato una drastica diminuzione dei contagi che stiamo finalmente registrando. La comunità scientifica sta ancora lavorando per valutare se ci possano essere altri fattori ambientali e /o climatici favorevoli alla diffusione del virus e, quindi, dei contagi.