Di seguito la lettera aperta firmata dal presidente di Confesercenti Catanzaro, Francesco Chirillo, e rivolta a tutte le rappresentanze politiche regionali e nazionali.
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Non possiamo, certamente, definire l’Italia come il Paese ideale per fare impresa. Già prima dell’emergenza Covid eravamo costretti a una lotta quotidiana contro le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, la criminalità.
Adesso la situazione è addirittura peggiorata.
Lo dimostra l’atteggiamento del Governo nei confronti di chi viene gradualmente “autorizzato” a riaprire le proprie attività. Al commerciante, al piccolo esercente, viene caricato un cumulo di oneri, di responsabilità così pesante che risulta davvero difficile immaginare una Fase 2 di reale “ripartenza”. Al contrario, chisure e fallimenti sembrano, per molti, un destino già segnato.
Avremmo gradito un impegno finalizzato a sostenere la ripresa, con incentivi concreti al lavoro, investendo soldi pubblici per consentire alle attività di riprendere quota in sicurezza, tutelando contemporaneamente salute e occupazione. Non assistenzialismo, insomma, ma giustizia economica.
Invece, al di là del solito “state a casa”, si è pensato solo di stilare lunghi elenchi di obblighi per gli imprenditori, con annesso aggravamento esponenziale di costi e di sanzioni.
Sinceramente, ma chi ce lo fa fare? Ciò che viene richiesto al tessuto produttivo delle Pmi, il più diffuso ma anche il più fragile, è insostenibile.
Pensiamo, ad esempio, ai ristoratori. Il questo settore il fatturato è fermo e gli adeguamenti richiesti per poter riaprire con efficaci misure anti-contagio richiedono sacrifici non indifferenti. E dove si dovrebbe trovare la liquidità necessaria? Non dai clienti, centellinati a scaglioni minimi giornalieri tali da lasciare ipotizzare incassi risibili. Allora forse dai prestiti, cioè dagli indebitamenti con le banche, sbandierati come la soluzione per dare la scossa al Paese? Una assurdità!
Non possiamo, certamente, definire l’Italia come il Paese ideale per fare impresa. Già prima dell’emergenza Covid eravamo costretti a una lotta quotidiana contro le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, la criminalità.
Adesso la situazione è addirittura peggiorata.
Lo dimostra l’atteggiamento del Governo nei confronti di chi viene gradualmente “autorizzato” a riaprire le proprie attività. Al commerciante, al piccolo esercente, viene caricato un cumulo di oneri, di responsabilità così pesante che risulta davvero difficile immaginare una Fase 2 di reale “ripartenza”. Al contrario, chisure e fallimenti sembrano, per molti, un destino già segnato.
Avremmo gradito un impegno finalizzato a sostenere la ripresa, con incentivi concreti al lavoro, investendo soldi pubblici per consentire alle attività di riprendere quota in sicurezza, tutelando contemporaneamente salute e occupazione. Non assistenzialismo, insomma, ma giustizia economica.
Invece, al di là del solito “state a casa”, si è pensato solo di stilare lunghi elenchi di obblighi per gli imprenditori, con annesso aggravamento esponenziale di costi e di sanzioni.
Sinceramente, ma chi ce lo fa fare? Ciò che viene richiesto al tessuto produttivo delle Pmi, il più diffuso ma anche il più fragile, è insostenibile.
Pensiamo, ad esempio, ai ristoratori. Il questo settore il fatturato è fermo e gli adeguamenti richiesti per poter riaprire con efficaci misure anti-contagio richiedono sacrifici non indifferenti. E dove si dovrebbe trovare la liquidità necessaria? Non dai clienti, centellinati a scaglioni minimi giornalieri tali da lasciare ipotizzare incassi risibili. Allora forse dai prestiti, cioè dagli indebitamenti con le banche, sbandierati come la soluzione per dare la scossa al Paese? Una assurdità!
Eppure la nostra Costituzione colloca il lavoro a fondamento della Repubblica, e la libertà d’impresa viene descritta come un diritto da garantire, promuovere e tutelare.
Ma persino in uno scenario di macerie “belliche” come quello che stiamo vivendo, la politica sembra vivere come in una bolla di sapone, totalmente distaccata dalla realtà.
Stiamo subendo la recessione peggiore dalla Grande Depressione del 1930 e lo shock della pandemia sul Pil mondiale si configura devastante.
Qual è la risposta del Governo? La briciola dei 600 euro? Sono pannicelli caldi. I debiti con le banche affonderanno le imprese. Le famiglie si impoveriranno. E’ così difficile da capire? E’ difficile comprendere che ciò che serve è una scossa produttiva, finalmente unita al coraggio di osare?
Altrimenti sì, finiremo col morire tutti. Ma non di coronavirus.
Come sempre, noi non ci fermiamo alla critica ma vogliamo pensare alla ricostruzione. E’ per questo che intendiamo ribadire, anche in questa sede, le nostre richieste: semplici, chiare, immediatamente fattibili ma di sicuro impatto, frutto di bisogni pratici e non teorici. I nostri dieci punti per la rinascita, pensando a quel piccolo esercente che, quando alza la saracinesca del suo negozio, con la sua dedizione, il suo sacrificio, il suo coraggio, riaccende il motore del Paese.
1) Un fondo perduto, quantificato sulla base del 30 per cento sul minor fatturato, al netto dell’Iva sul 2019.
2) Bonus per interventi straordinari nel settore privato/commerciale di adeguamento alle misure anti-Covid e messa in sicurezza.
3) Esclusione della responsabilità penale per gli imprenditori per casi di contagio durante il servizio non imputabili a dolo o a colpa.
4) Congelamento degli sfratti per le attività commerciali, per mancato pagamento dei canoni di locazione in questo periodo di emergenza, e parallelo credito d’imposta riconosciuto al locatore per i canoni non riscossi durante la quarantena.
5) Azzeramento delle imposte locali relative ai servizi non goduti: Tari, Cosap e simili.
6) Per la ripartenza delle attività, riduzione del costo di contributi e oneri sociali sul costo del lavoro dipendente in forza, almeno nella misura del 50 per cento nel periodo 2020-2022, al fine di garantire gli stessi livelli occupazionali pre-crisi.
7) Sgravio contributivo per eventuali nuove assunzioni nello stesso triennio 2020-2022.
8) Reintroduzione dei voucher per assunzioni di nuovi lavoratori stagionali.
9) Congelamento di almeno 36 mesi del contenzioso con il fisco.
10) Una corretta definizione del concetto di “fine emergenza”, da intendersi come riavvio dell’intera filiera nel settore specifico di attività.
Riteniamo che questo, per la politica, sia il momento di assumersi la responsabilità di avere le idee chiare. Noi, intanto, facciamo la nostra parte. Come al solito, rimboccandoci le maniche e pedalando a testa bassa.
Stiamo subendo la recessione peggiore dalla Grande Depressione del 1930 e lo shock della pandemia sul Pil mondiale si configura devastante.
Qual è la risposta del Governo? La briciola dei 600 euro? Sono pannicelli caldi. I debiti con le banche affonderanno le imprese. Le famiglie si impoveriranno. E’ così difficile da capire? E’ difficile comprendere che ciò che serve è una scossa produttiva, finalmente unita al coraggio di osare?
Altrimenti sì, finiremo col morire tutti. Ma non di coronavirus.
Come sempre, noi non ci fermiamo alla critica ma vogliamo pensare alla ricostruzione. E’ per questo che intendiamo ribadire, anche in questa sede, le nostre richieste: semplici, chiare, immediatamente fattibili ma di sicuro impatto, frutto di bisogni pratici e non teorici. I nostri dieci punti per la rinascita, pensando a quel piccolo esercente che, quando alza la saracinesca del suo negozio, con la sua dedizione, il suo sacrificio, il suo coraggio, riaccende il motore del Paese.
1) Un fondo perduto, quantificato sulla base del 30 per cento sul minor fatturato, al netto dell’Iva sul 2019.
2) Bonus per interventi straordinari nel settore privato/commerciale di adeguamento alle misure anti-Covid e messa in sicurezza.
3) Esclusione della responsabilità penale per gli imprenditori per casi di contagio durante il servizio non imputabili a dolo o a colpa.
4) Congelamento degli sfratti per le attività commerciali, per mancato pagamento dei canoni di locazione in questo periodo di emergenza, e parallelo credito d’imposta riconosciuto al locatore per i canoni non riscossi durante la quarantena.
5) Azzeramento delle imposte locali relative ai servizi non goduti: Tari, Cosap e simili.
6) Per la ripartenza delle attività, riduzione del costo di contributi e oneri sociali sul costo del lavoro dipendente in forza, almeno nella misura del 50 per cento nel periodo 2020-2022, al fine di garantire gli stessi livelli occupazionali pre-crisi.
7) Sgravio contributivo per eventuali nuove assunzioni nello stesso triennio 2020-2022.
8) Reintroduzione dei voucher per assunzioni di nuovi lavoratori stagionali.
9) Congelamento di almeno 36 mesi del contenzioso con il fisco.
10) Una corretta definizione del concetto di “fine emergenza”, da intendersi come riavvio dell’intera filiera nel settore specifico di attività.
Riteniamo che questo, per la politica, sia il momento di assumersi la responsabilità di avere le idee chiare. Noi, intanto, facciamo la nostra parte. Come al solito, rimboccandoci le maniche e pedalando a testa bassa.
Francesco Chirillo, presidente di Confesercenti Catanzaro