“Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail tra gennaio e settembre sono state 536.002 (+35,2% rispetto allo stesso periodo del 2021), 790 delle quali mortali. In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 43.933 (+8,6%). In sostanza, nei primi nove mesi dell’anno si registra, rispetto all’analogo periodo del 2021, un deciso aumento delle denunce di infortunio in, un calo di quelle mortali e una crescita delle malattie professionali. Tra le regioni che registrano aumenti dei casi di infortunio mortale, invece, si segnalano la Calabria (+10 casi). Numeri e percentuali che devono riportare al centro dell’agenda politica della Regione Calabria l’avvio di un confronto, prima di tutto con le organizzazioni sindacali, con le azioni concrete da intraprendere per invertire la tendenza e garantire maggiore sicurezza sui posti di lavoro”.
E’ quanto afferma il segretario generale della CGIL Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, Enzo Scalese.
“Azioni concrete – aggiunge Scalese – che dovrebbero partire ad esempio dal condizionare la destinazione di finanziamenti alle imprese, soprattutto quelli per l’attuazione del PNRR e dei Fondi Europei, ad investimenti in salute e sicurezza sul lavoro. Ogni settore dovrebbe seguire precisi criteri di qualificazione, soprattutto – ma non solo – negli appalti pubblici. Quello che serve è formazione e addestramento per tutte le lavoratrici ed i lavoratori, per tutti i tipi di contratto, all’inizio dell’attività lavorativa, prima di adibire alla mansione. Ma anche formazione per i datori di lavoro quale requisito per l’avvio o l’esercizio dell’attività d’impresa.
“E’ essenziale il rafforzamento dei controlli da parte di Asl, Inail, Inps, quello che viene definito come ‘sistema vigilanza’: il coordinamento e il confronto tra questi soggetti, e il coinvolgimento delle parti sociali, possono garantire una proficua collaborazione capace di rafforzare la prevenzione. I lavoratori e le lavoratrici di oggi fanno i conti con un lavoro che cambia, con innovazioni tecnologiche e digitali, cambiamenti climatici, precarizzazione del lavoro, invecchiamento della forza lavoro: i livelli istituzionali competenti non possono rimanere fermi a guardare, servono azioni concrete che possano dare corpo agli intenti affidati a protocolli troppo spesso rimasti lettera morta, nonostante le sollecitazioni delle organizzazioni sindacali. E forse – conclude Scalese – trasformare la sicurezza del lavoro come materia di studio da introdurre nei programmi scolastici, perché non sia solo una conoscenza di norme ma si concretizzi il rispetto del valore della vita umano, potrebbe favorire questo percorso di cambiamento nell’approccio a questo tema fondamentale per il diritto alla salute”.