Perché non liberare la ricorrenza dell’8 marzo dalla gabbia del consumismo e dar vita ad un nuovo protagonismo delle donne? Sarebbe il modo migliore per celebrare la giornata internazionale della donna che non può ridursi a una mera festa alla stregua di qualsiasi altro appuntamento che si celebra ogni anno. Da donna e da dirigente sindacale ho questo sogno: una rivoluzione pacifica, magari senza l’attuale coreografia di mimose, di conviviali, di belle parole. Lo si deve per quanto sta accadendo ora attorno a noi. Oltre il nostro orizzonte quotidiano, infatti, esiste un mondo femminile costretto a fare i conti con le ingiustizie, le guerre, le persecuzioni, la privazione delle libertà personali, le prevaricazioni, la violenza, con mani assassine di mariti, compagni, fidanzati e familiari. L’8 Marzo non va cancellato, ma essere un punto di partenza del lungo cammino per arrivare alla piena parità di genere: in famiglia, sul lavoro, in politica, nel mondo delle professioni.
Lo dice in una nota Nausica Sbarra Coordinatrice Regionale Donne Cisl Calabria.
Le conquiste finora raggiunte lungo questo cammino sono il frutto delle lotte di donne coraggiose degli ultimi due secoli. Eroine che la storia ci ripropone come esempio da imitare. Ma non basta.
C’è la necessità di non interrompere quel percorso perché dal nostro impegno di oggi e da un diverso protagonismo dipenderà il futuro delle donne di domani
I rischi che questa ricorrenza passi come un giorno di festa qualsiasi perdendo le reali motivazioni che hanno portato alla sua istituzione, oggi come non mai ci sono tutti. I cambiamenti in atto, soprattutto nel campo degli interscambi personali e legati ad un sentire comune strettamente connesso ad un mondo virtuale intangibile, stanno progressivamente facendoci perdere di vista il dramma che si consuma nella realtà e che vede spesso come vittime le donne.
Le emozioni e lo sdegno per un drammatica notizia durano, al massimo, il lasso di qualche giorno. Anche quando siamo di fronte a vicende orribili come quella avvenuta quest’estate in cui una mamma ha visto annegare il figlioletto di pochi anni su un barcone e per quel dolore straziante l’ha spinta a gettarsi in acqua per raggiungerlo negli abissi del mare Nostrum, diventato ormai un grande cimitero.
La società occidentale, con il suo benessere e la sua cultura, cosa fa per queste donne che lasciano la propria terra per la disperazione? Le respinge, le prende in “ostaggio” assieme ai loro figli adolescenti.
Dimenticando che i diritti della donna sono universali: non hanno limitazioni geografiche, etniche, culturali, religiose. Anche per questo dobbiamo ricercare nuove forme di protagonismo che vanno al di là dell’annuale momento celebrativo.
Il ritorno alla piazza come antidoto all’affievolimento dei nostri sentimenti e dei nostri valori ci aiuterebbe a capire meglio il dramma di tante donne che il sistema neoliberista ha ridotto in “scarti”. Ma di “scarti” umani sono piene anche le “discariche sociali” della mia Calabria: quanti non hanno avuto mai un lavoro, oppure che lo hanno perso. Donne ostaggio di forme di precariato, braccianti strette nella morsa dello sfruttamento di imprenditori e del caporalato – si legge nella nota.
Donne che forse non hanno mai vissuto l’emozione dell’8 Marzo, sentito l’odore delle mimose, e magari guardano a questa ricorrenza con distacco.
Sono loro l’esercito di riserva di questa rivoluzione pacifica: una nuova forza che aiuti l’intera società a capire quanto sia difficile essere donna oggi, soprattutto nel Mezzogiorno. Solo loro che quotidianamente lottano per difendere i diritti acquisiti e invocano l’intervento di soggetti pubblici e privati per eliminare il gap con le loro colleghe di altre regioni, soprattutto del Centro-nord dove si è spostata l’attenzione della politica nazionale e dell’attuale compagine governativa. Non solo l’8 Marzo ma tutti i giorni abbiamo l’obbligo di non dimenticare i diritti negati al mondo femminile del Mezzogiorno. Qui la mancanza di infrastrutture familiari, in particolare gli asili nido, impedisce alla donna di conciliare i tempi di lavoro con quelli della famiglia al punto da costringerla a rinunciare alla carriera e, spesso al posto di lavoro.
Per questo le donne del Mezzogiorno – in particolare della Calabria – dovranno farsi promotrici di proposte da sottoporre al governo nazionale e alle singole regioni ai quali spetta il compito di varare un piano organico per affrontare i bisogni dei territori che non comprendano i diritti delle donne.
Inoltre assistiamo – prosegue Sbarra – all’affievolimento della tensione da parte delle istituzioni su temi delicati che rendono meno efficace anche la lotta contro ogni forma di violenza sulle donne: il femminicidio, le molestie sui luoghi di lavoro, il razzismo, lo sfruttamento. Non si può non essere indignate, sotto questo profilo, quando un ministro dell’attuale Governo propone la riapertura delle case di tolleranza. La “legge Merlin” fu un’importante conquista non solo del mondo femminile ma dell’intero Paese. Quella legge degli anni Cinquanta del ‘900 sancì la sconfitta di una cultura arcaica, l’abolizione della schiavitù tollerata con la complicità dello Stato.
Il nostro è un no alle nostalgie del passato e siamo pronte a sfidare le organizzazioni che gestiscono la tratta delle schiave del sesso. Ai neo nazionalisti italiani ricordiamo che la prostituzione “non potrà mai assurgere al rango di lavoro”. E poi c’è la questione enorme tutta italiana della disparità di genere: un gender gap che supera il 40% e riguarda, tra l’altro, i redditi annui, i salari, gli stipendi, le carriere, la politica.
Ed in Calabria in tema di parità di genere in politica c’è un esempio lampante: le donne calabresi si battono da tempo per ottenere la metà dei posti nelle liste per l’elezione del Consiglio regionale. Una proposta di legge, presentata all’inizio dell’attuale legislatura (si torna a votare a novembre) ha subito brusche frenate e ostruzionismi. E dopo tante vicissitudini, il prossimo 11 marzo la proposta è uno dei punti all’ordine del giorno dell’Assemblea legislativa calabrese.
Se la condizione della donna migliorerà ne trarrà beneficio tutta la società: aumenteranno i diritti collettivi e con essi il mondo diventerà più equo, solidale e soprattutto più umano.
Ecco perché noi donne dobbiamo diventare artefici di un nuovo protagonismo e di una rivoluzione pacifica perché sono queste le armi più efficaci per raggiungere una vera e duratura parità di genere.