E’ firmato da Rodolfo Murra l’articolo pubblicato sul quotidiano della pa http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2019/maggio/1558539004431.html  che di seguito riproponiamo sul caso della Regione rispetto alla fissazione dei tetti massimi di spesa in materia di sanità.

La Regione Calabria, soggetta al c.d.”commissariamento” in ambito di spesa per servizi sanitari (e quindi tenuta al c.d. “Piano di rientro del deficit”), aveva fissato dei tetti di spesa per il 2017 con decurtazioni dell’ordine del 20%.

Talune strutture sanitarie convenzionate contestavano la decisione regionale di fissazione dei livelli massimi di finanziamento ed impugnavano i relativi provvedimenti commissariali davanti al locale TAR.

Con sentenza n. 948/2018, il Tribunale Amministrativo ha respinto il ricorso e, per l’effetto, ha confermato la vigenza dei provvedimenti gravati.

La predetta sentenza è stata appellata davanti al Consiglio di Stato.

La questione controversa atteneva, dunque, alla legittimità dei provvedimenti commissariali per la parte in cui imponevano una riduzione del tetto di spesaper l’anno 2017 per le strutture private accreditate al Servizio Sanitario Regionale.

Con sentenza n. 3314 del 22 maggio 2019 la Sez. III ha respinto l’appello.

I giudici di Palazzo Spada hanno innanzitutto rammentato che sulla questione generale (vale a dire sulla legittimità della determinazione dei tetti di spesa sanitaria e sui limiti del sindacato giudiziale circa i loro criteri di fissazione e ripartizione nell’ambito delle Regioni interessate dal regime emergenziale dei c.d. “Piani di rientro”), si erano già pronunciati in passato, anche in relazione alla stessa Regione Calabria.

Infatti, la Regione Calabria è assoggettata alla normativa emergenziale che disciplina i Piani di Rientro, e che mira a ripristinare l’equilibrio economico- finanziario del sistema sanitario regionale, salvaguardando il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie nel rispetto del diritto alla salute garantito dall’ art. 32 della Costituzione.

La ratio della fissazione dei tetti massimi di spesa e del loro controllo, dunque, è principalmente quella del contenimento della spesa pubblica e di garantire la continuità delle prestazioni ai cittadini ed una sana competizione tra le strutture accreditate, ma non quella di assicurare i volumi di produzione del singolo erogatore.

Peraltro, gli appellanti lamentavano che la riduzione del tetto di spesa del 20% disposto nella specie avrebbe violato l’affidamento che essi avevano posto nel budget inizialmente previsto per l’anno 2017.

Tuttavia, gli atti del Commissario ad acta impugnati sono stati emanati a seguito di un’ampia e prolungata istruttoria connessa al reperimento delle informazioni finanziarie indispensabili, che si sono rese disponibili solo nel corso dell’anno di riferimento per cui determinare il nuovo budget di spesa.

Quindi, da un lato gli operatori interessati erano da tempo a conoscenza della possibilità di una riduzione del budget e, dall’altro, la retroattività degli atti impugnati si palesa dunque necessaria al fine di prevedere misure che possano realmente realizzare lo scopo voluto dal Legislatore con la predisposizione di “Piani di Rientro”, ovvero misure capaci di riequilibrare la situazione economico-finanziaria della Regione Calabria nel settore sanitario nel rispetto della tutela del diritto alla salute dei suoi cittadini.

La sentenza odierna ha ribadito che la tutela delle legittime aspettative degli operatori privati, in coerenza con il fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici, riposa, in primo luogo, sulla valorizzazione dell’affidamento degli operatori economici, sull’ultrattività dei tetti già fissati per l’anno precedente, salve le decurtazioni imposte dalle successive norme finanziarie. La tutela di tale affidamento richiede, pertanto, che le decurtazioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio e nel corso dell’anno. Più in generale, la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, ed esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli.

Inoltre, la considerazione dell’interesse dell’operatore sanitario a non patire oltre misura la lesione della propria sfera economica anche con riguardo alle prestazioni già erogate fa sì che la latitudine della discrezionalità che compete alla regione in sede di programmazione conosca un ridimensionamento tanto maggiore quanto maggiore sia il ritardo nella fissazione dei tetti.

Occorre, infatti, evitare che il taglio tardivamente effettuato possa ripercuotersi sulle prestazioni già erogate dalle strutture nella ragionevole aspettativa dell’ultrattività della disciplina fissata per l’anno precedente, con le decurtazioni imposte dalle norme finanziarie.

Con riferimento alla fattispecie in esame peraltro, come correttamente individuato dal Giudice di primo grado nella sentenza appellata, fin dal mese di giugno 2017 le strutture accreditate erano state informate dell’entità della decurtazione percentuale per lo stesso anno 2017 e pertanto avrebbero dovuto programmare la loro attività, ancor prima dell’approvazione dell’atto definitivo, sulla base di tutti gli elementi conoscibili già nella fase iniziale dell’esercizio di riferimento, verificando la produzione realizzata nel periodo da gennaio 2017 a settembre 2017 (cioè nei mesi precedenti all’adozione del provvedimento contestato), ed avrebbero, altresì, dovuto rimodularla, per soddisfare il fabbisogno assistenziale, nei mesi di ottobre/novembre/dicembre, non potendo ignorare la conseguenza che le prestazioni erogate oltre il tetto massimo non sarebbero state riconosciute con onere a carico del S.S.R.

Dall’istruttoria espletata, infatti, è emerso che, già nel corso di un incontro del 15 maggio 2017 con il Dipartimento tutela della salute e con le associazioni di categoria del settore, la Regione aveva manifestato l’intenzione “di acquistare le prestazioni di assistenza specialistica operando per il settore privato una migliore distribuzione territoriale, con eliminazione delle prestazioni inappropriate di bassa complessità, e di utilizzare al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche, per garantire massimo rendimento ed efficienza, a fronte di considerevoli investimenti effettuati in termini finanziari ed organizzativi, rivedendo pertanto l’offerta complessiva delle prestazioni da soggetti privati”.

Tali criteri furono condivisi anche con le Aziende del SSR in diversi incontri tenuti nel primo semestre dell’anno e, poi, si era tenuto un nuovo incontro nel quale era stato illustrato il contenuto dell’emanando provvedimento commissariale.

Al contrario di quanto affermato dagli appellanti, allora, il legittimo affidamento dei privati è risultato, pertanto, contemperato in maniera corretta dall’autorità commissariale, essendo stata posta in essere un’ampia istruttoria a cui hanno partecipato anche le associazioni di categoria.

 

Rodolfo Murra

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